• 4 Luglio 2024
Cultura

Plaudimmo alla notizia della grande rassegna sui Longobardi annunciata nella primavera del 2017. Un encomiabile progetto culturale che nasceva in coproduzione tra il Museo Civico del Castello Visconteo di Pavia ed il Mann di Napoli. La rassegna, dunque, si svolse, con successo, nella città lombarda, nel capoluogo campano e si estese, nella terza ed ultima fase, a San Pietroburgo. Fu un evento di grande impatto storico e di grandissima bellezza considerando la notevole mole espositiva che, per la prima volta, venne proposta in un contesto organico e filologicamente corretto. 

“Longobardi. Un popolo che cambia la storia”.. Non restammo  insensibili alla rivisitazione dei costumi di un popolo e ad una pratica del potere che si sono intrecciati con gli usi e le tradizioni delle genti autoctone formando una varietà inedita nella Penisola fino ad assumere la specificità sulla quale è stata costruita buona parte della nazione italiana.

Dispiacque  che Benevento ed il Sannio non furono  della partita, come si dice, in tale occasione culturalmente e storicamente rilevante. Eppure la città campana, non diversamente da Pavia per quanto capitale del regno, ebbe un ruolo di primissimo piano nel dispiegarsi della civiltà longobarda fino ad assumere le connotazioni di una vera e propria capitale “altra” e non antagonista in un’area che comprendeva Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Molise. Il Ducato di Benevento, poi eretto a Principato, costituì, insieme con il Ducato di Spoleto, infatti la cosiddetta “Longobardia Minor”, ma non per questo fu “minore” la funzione politica, militare e culturale che svolse nell’Italia meridionale.

Oltretutto, Benevento fu sostanzialmente indipendente fin dal principio della fondazione del Ducato, e fu legata alla corona  reale longobarda solo durante il regno di Grimoaldo e dei sovrani succeduti a Liutprando. Dopo la caduta del regno, il Ducato beneventano rimase l’unico dei territori longobardi a godere di una non limitata indipendenza per circa trecento anni.

Non starò qui la ricordare la lunga storia longobarda nel Sannio e nel Mezzogiorno d’Italia, rimandando oltre che alla sterminata bibliografia in materia, all’opera di Paolo Diacono per chi volesse saperne di più ed alle varie storie più specifiche di Benevento tra le quali quelle di Vergineo e di De Antonellis (più recente). 

Ma non posso trascurare di menzionare come tra Benevento e gli altri insediamenti longobardi si riscontrava una comunanza di elementi che ne facevano qualcosa di molto prossimo ad una “nazione”, come del resto “nazione” era stata quella Sannita (su cui non mancheremo di dire qualcosa prossimamente occupandoci di alcuni studi e riflessioni in merito). E neppure è trascurabile che se elementi linguistici, giuridici, religiosi erano comuni a Benevento e a Pavia, va menzionata l’autonomia culturale propria del Ducato beneventano che, tra l’altro, diede origine ad un particolare  particolare tipo di canto liturgico, il “canto beneventano” – i cui codici sono conservati nel millenario archivio benedettino della Badia di Cava de’ Tirreni il cui fondatore sant’Alferio Pappacarbone ed i suoi successori tennero particolari rapporti spirituali e politici con i principi longobardi ed al Ducato furono molto legati – caratterizzato da uno stile e un andamento non riscontrabili in altre espressioni musicali liturgiche del tempo, a cominciare dal gregoriano con il quale si sarebbe in qualche modo fuso al tempo di papa Stefano IX che sostanzialmente dichiarò l’espressione musicale beneventana “fuorilegge” anche se sopravvisse un po’ alla macchia. Ma anche la “scrittura beneventana” fu innovativa coniando una particolare forma di adeguamento del latino.

In un tale universo culturale, arricchito da forme architettoniche ed espressioni artistiche, Benevento ed il Ducato rifulsero per secoli dando il tono ad un’epoca significativa della storia europea e mediterranea soprattutto. Uno sguardo ai monumenti beneventani, ma anche alle strutture di molti borghi sanniti dovrebbe far riaffiorare  un passato che non dovrebbe passare se soltanto ci si attivasse per tenerlo in vita. 

E’ questo il motivo che ci spinge a rivendicare la “centralità” longobarda di Benevento e a rammaricarci nel contempo che in una occasione come la rassegna della quale abbiamo dato notizia il capoluogo sannita sia completamente assente, mentre sarebbe stato utile e storicamente corretto che ne fosse protagonista insieme con Pavia. Fa specie il coinvolgimento di Napoli, città bizantina che ricadeva sotto il Ducato, ma forse più che un’aporia della storia, si è trattato di un’opportunità vista la sua importanza e la capacità di attrazione che indiscutibilmente esercita.

Una sola nota polemica, se così la si vuol leggere. Non sarebbe il caso, profittando di questo evento, che le istituzioni politico-amministrative e culturali beneventane e sannite cominciassero, a distanza di anni,  a pensare un po’ più in grande, ad abbandonare il provincialismo e a volgere lo sguardo oltre i momenti festivalieri per ridare lustro ad una identità storica che non merita certo di essere dimenticata?

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.