• 21 Novembre 2024

Sebastiano di Massa nacque a Solopaca il 9 marzo 1900 da Antonio e Maria Angelica Stanzione.

Fu amorosamente allevato da una giovane zia.

All’età di 11 anni entrò al collegio “La Salle” di Benevento, ed in questa città conseguì il diploma di ragioniere.

Più tardi si iscrisse alla facoltà di Scienze Economiche e Commerciali dell’Università Ca’ Foscari a Venezia, senza però portare a compimenti gli studi. A diciassette anni partecipò alla Prima Guerra Mondiale restando poi in servizio militare a Venezia, in qualità di ufficiale, per circa tre anni.

Dal 1919, intraprese una intensa attività di critico e giornalista.

Nel 1922, divenne funzionario dell’Amministrazione Giudiziaria al cui servizio restò fino al 1967 raggiungendo il grado massimo di Ispettore generale delle cancellerie.

Nel 1928 lavorò per la Commissione Nazionale Italiana per la Cooperazione Intellettuale, organo della Società delle Nazioni di Ginevra.

Nel 1940 venne fatto Commendatore della Corona d’Italia. Più tardi, nel 1963, gli venne conferita anche la Commenda al Merito della Repubblica.

Col poeta Trilussa e con altri poeti e studiosi fondò a Roma, nel 1946, il “Centro di studi Belliani e di poesia dialettale” di cui sarà segretario fino al 1948.

Negli anni che seguirono collaborò a diverse riviste ed inoltre fece parte dell’Accademia Tiberina di Roma e di quella “ d’e ppaste cresciute” riservata ad un ristretto numero di scrittori napoletani.

Nel 1961 gli venne assegnato il premio di cultura della Presidenza del Consiglio.

Sebastiano di Massa ebbe dalla natura uno spiccato acume critico ed una notevole sensibilità artistica, coltivò per tutta la sua esistenza un grande amore per ogni manifestazione d’arte. Continuò infatti ad organizzare mostre e congressi, così da avere rapporti di studio oltre che di amicizia con le più alte personalità del mondo della cultura e dell’arte, tra cui Pirandello, Mascagni, D’Annunzio, Trilussa,  Fermi, Marconi ed altri.

Sin da giovanissimo intraprese un’intensa attività di giornalista e, nei suoi numerosissimi articoli, illustrò l’opera dei più grandi poeti dialettali, tra cui quella di Meli, Porta, Belli, Di Giacomo, Galdiero, Barbarani, Pascarella, E.A. Mario ecc.

Collaborò a quotidiani e riviste sia in veste di semplice redattore sia in quella più impegnativa e prestigiosa di direttore: Il Corriere della Laguna, LArena, Il Veneto, Lares, Cooperazione Intellettuale, Il Lavoro Fascista, La Martinella, Il Giornale del Mezzogiorno, Pantheon, LArena Giudiziaria, La Carovana, Stampa Sud, Napoli Nostra.

Oltre i numerosi articoli sono di grande pregio critico ed artistico le varie monografie da lui pubblicate: Una forma di canto popolare nella Valle del Calore ( 1932), Cori campestri del Popolo di Solopaca (1933), Canti del popolo di Solopaca (1935), Canto popolare e canzone napoletana (1935), Influenza del canto popolare sulla canzone napoletana dell800 (1936), La canzone napoletana ed il suo rapporto con il canto popolare (1939), Attualità del Belli (1946), Trilussa lirico (1947), Storia della canzone napoletana (1960), Poesia e linguaggio nellopera di Ferdinando Russo ( 1964), La lirica in dialetto di Albino Pierro (1964), la poesia di Giovanni Capurro (1965), Le canzoni damore e la poesia di Rocco Galdieri (1966), La canzone napoletana (1969),  Il Café-Chantant e la canzone a Napoli (1969), Salvatore Di Giacomo (1971), Laforgue (1972), Giambattista Valentino, Napoli scontrafatto dapò la pesta (1965), Lettere e poesie damore di Salvatore Di Giacomo (1974).

Negli articoli, nei saggi, nelle monografie il Di Massa dimostrò di essere uno scrittore serio, infaticabile, dotato di uno stile semplice ed armonioso, innamorato di quanto pensa e scrive, attento ai più svariati aspetti della cultura.

Le tradizioni che andavano scomparendo e i canti popolari della Campania e di altre regioni d’Italia che venivano dimenticati furono i motivi ispiratori del Di Massa. “Il canto popolare -egli dice- è poesia pura ed alta, sbocciata spontaneamente nella serenità della natura ispiratrice. E purtroppo la modernità, potente livellatrice e distruttrice di ogni vestigio d’arte popolare, tende a far scomparire molti elementi originari del popolo lavoratore. La forma di canto popolare più diffusa un tempo tra i giovani era la serenata, ma essa appartiene solo al passato, in quanto i giovani d’oggi sostituiscono, vantandosene, al canto nato dal popolo, le canzonette in voga. Oggi si è allontanati, dai mezzi audiovisivi, dalle fonti della propria ispirazione e si perdono ogni giorno anche i pregi del proprio animo, che erano e devono tornare la semplicità e la sincerità”.

Autore

Nato a Solopaca (BN) 20 dicembre 1948. Diplomatosi nel 1966 all’ Istituto d’arte di Cerreto sannita (sez. ceramica), frequenta l’Accademia di Belle Arti di Napoli fino al terzo anno che lascia anzitempo poiché, essendosi nel frattempo abilitato per l’insegnamento di disegno e storia dell’arte, è nominato docente di materie artistiche nella scuola di Belgiojoso (PV). Oltre alla pittura, alla scultura e alla ceramica, dal 1976 si è dedicato alla critica d’ arte e alla storia. Nel 1977 porta alla ribalta due ignorati artisti del ‘700: Decio Frascadore (1691-1772) e Lucantonio D’ Onofrio (1708-1778). Appassionato sempre e profondo conoscitore dei problemi dell’arte, conta al suo attivo numerose pubblicazioni che riguardano l’arte dal periodo gotico al ‘700. Iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti ha collaborato fra l’altro dal 1980 al 2004 al settimanale beneventano “Messaggio d’ Oggi”