Ci sono tre aspetti importanti che emergono nell’analisi dei fatti di maggior rilievo e di cui si parla e straparla in questi giorni: l’uccisione dell’indiano morto sul lavoro, nei campi di Latina, la legge sul premierato e quella sull’autonomia differenziata.
Sono la leggerezza, la responsabilità ed il senso dello Stato.
La leggerezza in senso figurato quale poca serietà, incostanza, volubilità, riferito a ciò che succede nella cronaca e nei comportamenti sociali. Da lì il menefreghismo o disimpegno di chi non ha più reazioni etiche dall’indignarsi nella vita perdendo la rilevanza di ciò che è tragico da ciò che è futile o inutile. Sentire le giustificazioni, a caldo, del datore di lavoro (!!) del povero bracciante Satnam Singh spiega l’infamità di una leggerezza ostentata e tragica.
Conseguenza ne è la responsabilità intesa come assenza. Oggi non c’è alcuno che sia o appaia come responsabile di alcunché (dalla pratica burocratica all’omissione in campo medico, sociale e politico). La spersonalizzazione del referente responsabile è vissuta, accettata, subita e sofferta ormai in senso inconscio dalla comunità sociale.
Per anni lo zelo del fare bene le cose, salvaguardando prima di tutto gli interessi dell’altro e collettivi è stato un mantra educativo, fatto sfociare nello Stato Etico in contrapposizione allo Stato di Diritto, quella forma di Stato che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell’essere umano; insieme alla garanzia dello stato sociale.
Il fatto è che aumentando il disinteresse individuale a ciò che è pubblico o di interesse collettivo, oggi governa l’irresponsabilità, tranne per i casi di irresponsabilità penale e solo per la responsabilità personale.
La somma di una tragica leggerezza e di una parossistica irresponsabilità crea in una classe dirigente l’ebbrezza, la tracotanza, la hybris di poter gestire la minoritaria, pur legittima, maggioranza proponendo riforme costituzionali che la gente, il popolo tutto, astensionista quasi al 70% al dovere elettorale, non quello dei fans o ultrà di partito, non vuole, non percepisce utili o necessarie.
Allora una riflessione si impone: davanti ad una marea di emergenze che incombono, (cito quella salariale, dei consumi, della crisi del nostro settore produttivo e manufatturiero, della povertà dilagante e della perdita dei nostri giovani migliori, etc..) non sarebbe il caso, con grande coraggio chiedersi se occorra dare un nuovo senso a ciò che chiamiamo STATO?
Addirittura la rivista economico-politica del Mulino, già dal 2023 si poneva il titolo “SERVE PIU’ STATO?”.
Dopo la pandemia si sente maggiore bisogno dello Stato; oltre la contrapposizione fallimentare del liberismo contro lo statalismo, davanti alla recessione globale dell’economia, necessita l’intervento statale molto elaborato e sofisticato. In un contesto di coesione europea lo Stato arriva dove il singolo non arriva. C’è necessità di una nuova convergenza economica, a fronte della scomparsa dei ceti medi.
Occorre un nuovo modello di sviluppo basato su “Lavoro e Sviluppo”. Rifondare il senso dello Stato significa dare soluzione ai bisogni collettivi e sociali. Occorre un manifesto di valorizzazione dei valori che impedisca nello sviluppo, ad esempio la pornografica ascesa dei profitti extra e superprofitti, oggi saliti da 29 a 400 volte il parametro salariale medio.
Investire su un modello di sviluppo con al centro il bene comune e non lasciar fare solo al libero mercato.
L’intervento dello Stato non deve essere confuso con il comunismo o collettivismo, bensì accedere allo spirito gramsciano di una centralità statale anti economicista con spirito di realismo politico, dato che le politiche di austerità sono fallite e si è passati dalle politiche per contenere il debito alla necessità di politiche per lo sviluppo. Oltre la contrapposizione tra keynesiani e anti. Occorre porsi domande forti e chiedere coraggio.
Pensando al Manzoni mi chiedo: si avrà il coraggio di sciogliere le Regioni, vero morbo economico e burocratico? Si avrà il coraggio di invertire la rotta economica al Sud, con livelli logistici, infrastrutturali, culturali ed economici e che lo stabilizzino al pari d’Europa?
Nelle more il direttore del “Messaggero” Alessandro Barbano, dopo un bellissimo articolo del 3 maggio, data del suo insediamento, è stato cacciato dalla direzione dopo una settimana, perché non in linea elettorale col suo editore. Potenza e Visione della cultura imprenditoriale italiana!