Sono stordito. Tutto sembra vero, qui intorno, e al tempo stesso tutto sembra artefatto. Sono sbucato da una macchia di rovi morbidi e inodori: i miei sandali non sono impolverati e le mie caviglie non recano i segni dei graffi di quell’aspra vegetazione; il sughereto e il muschio non mandano fragranze selvatiche, gli animali, se ci sono, tacciono. Davanti a me, uno specchio d’acqua immoto come quel gran lago di sale che vidi in Anatolia, e statue di sale mi sembrano quelle sagome laggiù, sulle rive pietrose.
Silenzio. Cerco il sentiero perduto, che mi porti alla città, di cui scorgo le luci, in fondo all’orizzonte. Incontro rari pastori, alcuni con il loro gregge, altri con solo un agnellino sulle spalle. C’è una donna che porta un secchio: forse viene da una fonte nascosta; in quel fienile, intravedo un pastorello addormentato. Mi fermo attonito: sotto un arco di roccia, scorgo un cacciatore con la sua doppietta, che chiacchiera con un frate mendicante… Ma allora tutto è già accaduto?
E ora mi devo fare da parte: sta passando uno strano corteo. Seguo l’andare ciondolante dei cammelli, vedo cavalli in atto di caracollare, e spalanco la bocca al passaggio di vegliardi abbigliati come sovrani, dritti sulle loro cavalcature con le gobbe. In testa e coda, uomini dalla pelle scura, con tamburi, cavigliere e pifferi, di cui non percepisco il suono. Fermo per un attimo l’ultimo, che mi fa capire di essere venuto, come gli altri, da lontano, e di aver seguito una stella, per non smarrirsi lungo il cammino. Gerusalemme è stata la loro ultima tappa, e ora viaggiano, come me, verso Betlemme.
Vedo le prime case, anzi le prime capanne, le prime grotte; ora, sullo sfondo di un cielo stellato, scorgo luci tremolanti. Chiedo a due soldati in armatura: quello illuminato da luci fioche lassù è l’accampamento della legione Fulminante. Alle mura della città, si appoggia uno strano boschetto, dove si mischiano alte palme e smilzi cipressi: scherzi della natura (o dell’umana fantasia?)… Ma ecco la città: oltre la porta sorvegliata da altri soldati, si apre un angusto paesaggio di casupole bianche squadrate col tetto piatto e di viuzze illuminate a intermittenza.
Il mio viaggio spirituale però non può ignorare le esigenze del corpo: dove mangiare? Dove dormire, prima di affrontare, al sorgere del sole, la parte finale del cammino? Dietro l’angolo, appena rischiarata da una lanterna, c’è un’osteria. Supero un androne dove una vecchina vende ortaggi impolverati, di fronte a una macelleria che espone quarti di bue dal sangue rappreso, come di gesso. Un asino porta il suo basto carico, accanto al padrone, fermo a discutere con un vecchio seduto su un gradino.
Davanti alla taverna, due tavoli imbanditi, sotto due fiaccole da cui scende una luce rossa, che si riflette sui volti degli avventori, irrigiditi in espressioni di godimento. Con loro dovrò dividere questo spazio? Indovino sguardi avidi rivolti alle pietanze dai colori vivaci, più che alla scollatura della donnetta in piedi davanti a uno dei tavoli. Meno satiri, più ghiottoni, direi; in ogni caso, mi adatterò alla compagnia, se vorrò passare la notte in questa taverna.
Ho dormito poco e male, turbato dal sogno di angeli che sussurravano alle mie orecchie parole incomprensibili e m’indicavano la strada. Raccolto il mio frugale bagaglio, riparto, per uscire da un’altra porta della città. La ghiaia sotto i miei calzari non rimanda il classico scalpiccio, e la vegetazione si dirada. Ora il paesaggio è arido, e rischio d’inciampare ad ogni passo tra ciottoli e radici secche. Il cammino è ancora lungo, ma il sentiero si affolla di altri personaggi, che mi precedono e mi seguono, tutti con un dono: canestri di frutta o di pani, cesti di pesci, involti di fragole e noci (ancora scherzi delle stagioni?).
Si fa sera: all’orizzonte si spegne gradualmente la luce solare, e col crepuscolo s’accendono le stelle: mentre attraversiamo un ponticello di legno e sughero, gettato su di un torrentello che non riesce a spaventare nessuno, con i suoi rivoli argentei saltellanti e serpeggianti nell’immobilità di un eterno attimo fra rocce muschiose, in alto ci appare una stella con una coda lunghissima. E’ la cometa della profezia! Ho l’impressione che si levi un mormorio dalla folla di pellegrini… o forse no, è soltanto la mia immaginazione.
Ed ecco la Grotta, illuminata a giorno e circondata da angeli e santi (sì, in questo scenario ci sono già anche i Santi). Fra loro m’inginocchio, e riesco appena a scorgere, in quell’anfratto che fu buio ed ora è invaso da una luce accecante, un bue e un asinello ai lati di una Madre e di un Padre, amorevolmente piegati verso una culla ricavata da una mangiatoia. Non odo lodi, né musica. So che per me sarà difficile meritarmi la compagnia dei Santi, dopo aver trascorso la notte coi ghiottoni, come scrisse nel suo Inferno il padre Dante. La mezzanotte è passata, e mi risveglio nella mia casa, nel chiasso allegro di adulti e bambini, che hanno appena deposto un neonato di gesso nella mangiatoia: sono davanti al presepe, dove fino a un minuto fa, come ogni anno, ho sognato di aggirarmi, piccolo in carne e ossa, fra i piccoli in materiali inerti.