I monasteri benedettini che visito nel mio pellegrinaggio alla ricerca delle tracce dell’Europa cristiana, mi offrono un senso profondo di inquietudine che non riesco a contenere. Da un lato, fin dal loro manifestarsi in lontananza, esercitano una grande attrazione, religiosa e culturale, quasi un richiamo mistico crescente fin quando non arrivo a destinazione e mi si spalancano i tesori di una dimensione che si mi si propone come l’approdo di un richiamo avvertito e mai completamente soddisfatto. Dall’altro, una volta ammesso alla visita – sempre suggestiva e più che suggestiva – il contatto con la desolazione è devastante: i pochi monaci che incontro, tranne rare eccezioni, la prima cosa che mi dicono, quasi scusandosi, è che un tempo quella loro abbazia era rigogliosa e fiorente, popolata da religiosi che vivevano con la Regola nel cuore e nella mente, che le vocazioni si sono assottigliate fino a non poter più avere un abate.
Quasi sempre la visita è accompagnata da rumori di fondo, provenienti dall’esterno delle mura, provocati da più o meno chiassosi turisti che perlopiù ignari, come ho potuto di frequente sperimentare, si apprestano a trascorrere qualche ora oppure dei giorni nelle adiacenze del monastero o addirittura nel suo stesso recinto dove pure è rigorosamente preservata la clausura dall’intrusione dei curiosi. E quasi sempre mi si dice che i “pellegrini”, chiamiamoli così, in numero crescente affollano le abbazie e tengono comportamenti consoni all’ambiente, rispettosi della sacralità dei luoghi.
Io stesso ne ho incontrati alcuni. Avvicinandoli ed interrogandoli sulle motivazioni che li portavano a visitare antichi monasteri ho quasi sempre avuto la stessa risposta: il bisogno del silenzio, della solitudine, della preghiera in ambienti “non contaminati” – proprio così – dove è più facile entrare in contatto con la trascendenza. E poi la liturgia, i riti, il gregoriano, le forme della vita meditativa e contemplativa… Già, il fascino del monachesimo.
Dunque, sintetizzando: se soltanto pochi “temerari” scelgono di farsi monaci, sono tanti coloro i quali, pur mancando del “coraggio” per compiere il passo “estremo”, vengono quasi rapiti dalla spiritualità cenobitica e vogliono immergersi nelle atmosfere che – sia pure per un po’ – li traggano dalla “prigione” della modernità.
Non saprei se è un buon segno o se è la sublimazione di una “seconda religiosità”, vale a dire di un laicismo mitigato dalla resistenza di forme di spiritualità insite in tanti insoddisfatti da ciò che propone la secolarizzazione. Certo è che nei visitatori occasionali delle abbazie come in quelli abituali – sempre più frequenti, mi assicurano i monaci che mi ospitano con cordialità che sfocia in aperta simpatia quando apprendono che sono cresciuto e rimasto legato alla Badia di Cava de’ Tirreni – colgo un sintomo confortante di questi tempi.
Per quanto minoritarie, le piccole schiere di “esploratori” della spiritualità monastica sono quasi sempre indotti a cercare dell’altro: l’Europa cristiana. Me ne rendo conto in Francia, in Austria, in Germania dove la vita benedettina non è nascosta come si potrebbe credere, ma viva – e non sopravvissuta – nei grandi monasteri che periodicamente visito, come nelle pievi rupestri affidate ad alcuni monaci, veri custodi delle Alpi tra le quali il messaggio di San Benedetto ed il ricordo vivo di San Benedetto di Aniane, l’eccelso ed ispirato riformatore, rivitalizzatore della Regola, sembra attraversare la valli e raggiungere le vette, rinnovando il ricordo di Cluny e di Fleury, le grandi abbazie dove fiorì il monachesimo nel settentrione d’Europa e dove, tra Saint- Wandrille e Sankt Ottilien, si ha l’impressione che la cristianità europea possa ancora rifiorire. E continuare il lungo cammino intrapreso tra il IV ed il V secolo dal Santo di Norcia cui si deve – inequivocabilmente – la fondazione dell’Europa cristiana.
Non è soltanto un auspicio, come si può capire, ma qualcosa di più d’una umana speranza: è la certezza che dopo la barbarie, la civiltà prenda il sopravvento. Ed il soffio divino che guida la storia lo si avvertì all’apogeo del crollo dell’Impero Romano e, flebilmente, lo si avverte oggi, nel tempo di Internet e delle mostruosità della modernizzazione senz’anima.
Se il mondo si consuma non è detto che dalle ceneri non possa rinascere. E se, incontestabilmente, fu il monachesimo a porre le basi per la rinascita del cattolicesimo dopo l’assalto dei Visigoti a ciò che rimaneva di una civiltà che secondo i contemporanei non avrebbe mai più rivisto la luce del sole, non è detto che i “silenziosi angeli” quasi nascosti nel cuore dell’Europa che come millecinquecento anni fa intonano gli stesi canti, alle stesse ore, secondo un rituale sostanzialmente mai modificato, non possano essere il “lievito” di quell’Europa che altri barbari stanno mettendo a ferro e fuoco.
E spero che la Chiesa cattolica comprenda che l’Europa è davvero Terra di evangelizzazione, come intuì il grande Pontefice San Giovanni Paolo II, e si affidi al monachesimo, oltre che alle organizzazioni secolari naturalmente, per capire ciò di cui ha necessità il nostro Vecchio Continente.
Il Padre Abate Notker Wolf, già primate benedettino, ora tornato nella sua antica abbazia di Sankt Ottilien, ha detto al giornalista Paolo Rumiz che ha condotto una lunga inchiesta raccolta nel volume Il filo infinito (Feltrinelli): “Noi non siamo contemplativi. La nostra attitudine è meditativa. Significa che mastichiamo la parola finché essa non rilascia tutto il suo sapore e non ci entra nella carne e nelle ossa. Il nostro attivismo non ci fa mai dimenticare l’arte o, il pensiero. L’otium in senso latino è assolutamente utile. Negativa per l’anima è l’otiosítas, l’inattività, la pigrizia”.
Nelle abbazie benedettine d’Europa questo modello di vita è presente e vivo: discende dalla Regola, si fa religione carnale seguendo il precetto del Maestro e non disdegna il confronto con il mondo pur essendo fuori dal mondo per il mondo sia spirituale che terreno.
È possibile ricreare una comunità umana di tipo benedettino nel tempo della abiura di tutte le virtù? Su questo interrogativo si gioca il destino dell’Europa per il quale quella che stata definita “L’opzione Benedetto” dal politologo americano Rod Dreher (Edizioni San Paolo) è necessario riconoscere le radici dell’Europa cristiana come accadde al tempo delle fine di un mondo, il mondo classico che, guarda caso, proprio i monaci, depurandolo dalle scorie disumane, restaurarono costruendovi con i suoi “materiali” non deperibili una nuova umanità.
Scrive Dreher: “Noi cristiani contemporanei dobbiamo imparare dal loro esempio, e in particolare da quello di san Benedetto. Quella di Benedetto era un’epoca di decadenza: circa settant’anni prima della sua nascita i Visigoti avevano saccheggiato la Città Eterna. Ciò portò a una terribile crisi”.
San Girolamo osserva: “La città che aveva conquistato il mondo intero fu essa stessa conquistata”. In tale contesto gli uomini presero a guardare con speranza alla città celeste e al regno di Dio, mentre il regno degli uomini decadeva. Sant’ Agostino scrive La città di Dio. Roma declina e nel 476 assiste alla deposizione dell’ultimo imperatore. Benedetto da Norcia, lascia Roma, gli agi, i privilegi, le mollezze della decadenza e dopo un lungo romitaggio diventa fondatore di comunità, di cenobi, di monasteri. Getta, insomma, il seme della nuova Europa, senza saperlo, senza ambizioni, senza allontanarsi dalla povertà scelta come modello di vita. Il suo esempio attrae un mondo in rovina che vuole rigenerarsi. E la Regola è la sua arma per convincere perfino i più ostili e riottosi.
“L’esempio di Benedetto – osserva Dreher – ci dà oggi speranza, perché mostra cosa può compiere un piccolo drappello di credenti che rispondono creativamente alle sfide del proprio tempo e luogo, incanalando la Grazia che scorre attraverso loro per la loro apertura radicale a Dio e incarnando tale grazia in un diverso modo di vivere”.
I monaci salvarono l’Europa. Riusciranno ancora nell’impresa? Lo spirito benedettino come un fiume carsico appare e scompare per poi riapparire nelle lande più impensate delle antiche contrade. Riconosco i canti all’alba e al tramonto avvicinandomi alle abbazie. Le flebili luci che rischiarano i cori sono potentissimi richiami a reagire alla decadenza.
L’opzione Benedetto, non è una suggestione. È una prospettiva concreta che nasce a Norcia e arriva fino a noi, restando dopo di noi. L’Europa cristiana è la sola possibilità che gli europei hanno per non sparire.