Non occorrevano arti e doti divinatorie e profetiche per sapere che Donald Trump avrebbe vinto a mani basse, ma bastava disporre solamente di un poco di esperienza e, sopratutto saper leggere la realtà politica, sociale e culturale della più importante e potente nazione del mondo. Non potevano infatti bastare a far vincere la Kamala le star dello spettacolo, gli interpreti del cinema e del teatro più o meno attraenti, le ragazze sculettanti messe in mostra sul palcoscenico dei vari comizi che si sono dimostrati del tutto insufficienti nell’orientare e nel raccogliere voti.
Eppur anche dopo la chiusura dei seggi elettorali qui da noi, in Italia, la grande stampa e le principali Tv continuavano a sostenere che la Harris era in testa e che tuttal’più i due candidati risultavano essere testa a testa.
Impressionante, nel significato etimologico della parola, sentire a “Porta a Porta”, Bruno Vespa ammettere di non poter garantire la par condicio perché in studio c’era tra una decina di giornalisti, commentatori, storici e “sputa sentenze” vari, solo un sostenitore di Trump mentre tutti gli altri erano schierati a favore della Harris. Persino ad urne aperte questi soloni “Sò tutto mi” continuavano a sostenere che la candidata democratica era in vantaggio: Massimo Giannini su varie reti televisive pontificava; Riotta (“isteriosa o pragmantica: l’imprendibile Kamala sfida i tabù dell’America”), Maurizio Molinari (“Kamala Harris vede la possibilità di una rincorsa in extremis capace di farla diventare la prima donna a sedersi nello Studio Ovale. A rovesciare la situazione sono i dati sul voto per posta… ben il 55% sono donne”… – ed il nostro già sapeva che avrebbero votato per lei – “Il fattore entusiasmo… sta favorendo lei, – e si è visto – come Obama nel 2008”), David Parenzo (“Harris, la candidata… anzi la presidente degli Stati Uniti, diciamocelo subito”), Peppe Provenzano (“Dai dem Usa una lezione per noi: si vince se si è uniti”), Antonio Di Bella (“Tutto è possibile, ma io penso che vincerà Kamala Harris”), Bill Emmot (“La sorpresa che può spiazzare Trump si chiama alta affluenza delle donne. Il tycoon partiva in vantaggio sull’economia, ma ora stenta”) e tanti altri che ora, dopo la vittoria del tycoon hanno il coraggio di montare in cattedra per spiegarci cosa sia veramente e perché sia avvenuto questo vero e proprio terremoto elettorale.
Basta leggere i titoli dei vari quotidiani e periodici a competizione chiusa: “Siamo nel regno di Trump II non servirà più evocare la calata delle tenebre” apre l’editoriale di Barbara Stefanelli su “Sette” il settimanale del “Corriere della Sera” del 15/11/2024 “…Il 47simo presidente degli Stati Uniti ha colorato di rosso la mappa elettorale americana dei grandi elettori e si è anche assicurato la maggioranza nel voto popolare con distacco di 5 milioni”, superando il record di George W. Bush, 20 anni fa, guadagnando pure nei feudi democratici come New York e vincendo anche al Senato. E nella prima pagina a colori “Il Fatto Quotidiano” titola: “Non l’hanno visto tornare. Il “rieccolo” pigliatutto straccia Harris e i Dem, anche nel voto popolare. Controlla Camera e Senato. E persino Zelenzky si inchina”. E poi tutta la seconda pagina con caratteri cubitali titola: “Il ritorno di Trump “pigliatutto” dalla Casa Bianca al Congresso”. Il quotidiano di Marco Travaglio si avventura anche con Sabrina Provenzani nell’analisi delle cause che hanno determinato la debacle della candidata democratica: “La sconfitta di Harris negli Stati Dem: astensionismo per i diritti civili e trans”. Anche l’organo di Confindustria “Il Sole 24 Ore” dedica intere pagine alla vittoria di Trump, ammettendo, ma solo ad elezioni concluse, che si è trattato di un vero e proprio “KO del politicamente corretto e delle élite democratiche” e che c’è stato un vero e proprio “Trionfo di Trump negli Swing States. Votato da donne, latinos e operai”. Ed ancora “Il Sole 24 Ore” dello stesso giorno scrive per la penna di Sergio Fabrini: “…é indubbio che il risultato delle elezioni americane del 5 novembre scorso rappresenti una svolta “rivoluzionaria”. Una rivoluzione è in corso, non dissimile da quella che si è realizzata negli anni Trenta del secolo scorso. Con il New Deal Franklin F. D. Roosvelt reinventò il partito democratico, Trump ha fatto la stessa cosa con quello repubblicano, emarginando il suo tradizionale establishment conservatore e sostituendolo con un nuovo ceto politico. Il movimento da lui creato, “Make America Great Again” (MAGA), ha trasformato il populismo in una forza istituzionalizzata nel Congresso degli stati, …con un radicamento nelle chiese evangeliche, MAGA si è allargata verso le minoranze latino-americane… e verso gli afroamericani, estendendosi anche al mondo dell’hight tech ed ai giovani…
Tale antagonismo mira a rivedere radicalmente il ruolo dello stato federale, all’interno e all’esterno.
All’interno Trump, mira a scardinare le funzioni regolative che lo stato federale esercita… L’obiettivo è lo “Stato minimo”… La messa in discussione del “deep state” da parte di Trump è coerente con la sua messa in discussione del sistema di alleanze costituito dall’America nel secondo dopoguerra.
Fortunatamente anche sulla stampa non a favore di Trump ci sono stati commenti seri ed equilibrati come quello di Massimo Fini apparso su “Il Fatto Quotidiano”, nel quale si può leggere: “The Donald col suo improbabile ciuffo biondo, non solo ha vinto le elezioni, ma le ha vinte a redini basse” come si dice in gergo ippico, ‘gli stramaledetti quadrupedi’, a dispetto di tutta la stampa democratica occidentale che gli tifava contro… Come ho scommesso su Trump vincente, ora scommetto, al tavolo di quell’inquietante di Elon Musk, che la guerra russo-ucraina finirà entro sei mesi”, (è la stessa mia previsione). Questo perché come scrive ancora Massimo (leggete bene Massimo, quel bravo giornalista, Fini): «“The Donald non ha mai fatto guerre, ed ha cominciato bene perché ha promesso che: “Non inizierò guerre, ma le fermerò”».
C’è però chi non si rassegna alla “batosta”, come il “Corriere della Sera” che nel recente supplemento “La lettura” sospira rammaricato: “Kamala Harris? Molti credevano che sarebbe stata la volta buona. Non bisogna fermarsi”. Ed invita – senza aver imparato la lezione – a “… continuare a crederci. Dobbiamo trovare ragazze che vogliono provarci e aiutarle. E alla fine succederà”.
Mentre Lilli Gruber parla di onda nera e scrive: “… qualche settimana fa, commentando per questa stessa rubrica le vittorie delle destre estreme dell’Afd in Germania e della Fpö in Austria, scrissi di “un’onda nera che parla tedesco”. A quanto pare ora parla anche inglese con uno spiccato accento americano… la tempesta politica che sta spazzando le nostre società ha molti tratti comuni. Gli elementi di forza di Trump – pluricondannato e indagato, non dimentichiamolo – sono gli stessi dei leader reazionari europei: nazionalismo, costruzione dei nemici, vittimismo aggressivo, una comunicazione da dito medio alzato: scorretta, offensiva e violenta. Oltre a una concezione del potere che mal tollera limiti e bilanciamenti, e ovviamente l’immaginazione resta elemento cruciale e costante della propaganda”. Sono tutte le stesse “colpe” che la faziosa giornalista ed una certa pubblicistica attribuiscono a Giorgia Meloni. E la sinistra? Si chiede: “Le forze progressiste finiscono intrappolate da queste destre arrembanti e radicali” ammettendo che: “La chiamata alla mobilitazione contro il rischio autoritario – l’argomento più usato – non sta funzionando tanto”… “Perché a questa denuncia mancano sostanza e corpo”… La destra, degli Usa all’Italia, ha saputo dar voce alla rabbia e al risentimento.
E molti altri “saggi” rosicano… come Friedman che sconsolato si domanda: “Dove sono finiti donne e giovani per Kamala?” Mentre il solito Saviano incolpa, via social, la “fogna social”, e la Cuzzocrea parla di “vittoria degli insulti”.
Infine giorni fa “Report” ha messo su un servizio che voleva dimostrare che Trump ha vinto perché è stato appoggiato dalla mafia italo americana e dalla criminalità organizzata.
Non sto scherzando dico la verità, andate a rivedere la trasmissione di domenica 24 novembre.