Natale è la festa più importante dell’anno. Ma quale significato attribuire a un evento che col passare del tempo si è trasformato in una ritualità quasi pagana, in cui fare sfoggio di ricchezza, in una gara di lusso? Ha ancora un senso? La domanda, come suggerisce Galimberti, andrebbe posta non a un laico ma a un cristiano, sempre più distratto dall’odierna “società opulenta” (J. K. Galbraith). Certo, l’Occidente cristiano, oggi più che mai, vive una contraddizione che non è più possibile ignorare. Da una parte file, sempre più corpose, di indigenti che aspettano un pasto e indumenti davanti alle sedi Caritas. Dall’altra centri commerciali vestiti a festa, città addobbate con enorme spreco di elettricità, frastuono e ristoranti stracolmi. Quindi, di quale Natale vogliamo parlare? Quello degli scrittori e dei poeti che ancora sanno dare il giusto valore a ciò che ci circonda. Che siano atei, cristiani o seguaci di qualunque altro credo. «Colui che ha una grande ricchezza in sé stesso è come una stanza pronta per la festa di Natale, luminosa, calda e gaia in mezzo alla neve e al ghiaccio della notte di dicembre.» È una riflessione di Arthur Schopenhauer (Parerga e Paralipomena) un filosofo tra i più pessimisti della storia del pensiero. Non una critica feroce sul Natale, ma una definizione sentimentale: la dimostrazione che ilNatale origina buoni sentimenti trasposti nella letteratura mondiale, in ogni tempo e anche negli intellettuali più refrattari, o negazionisti, nei confronti del messaggio cristiano. Un esempio è Friedrich Nietzsche. Proclama “la morte di Dio”, ritiene il cristianesimo una colossale menzogna ma non è altrettanto deciso con la Natività. Dallo scambio epistolare, dall’Italia, con la madre e la sorella Elisabeth apprendiamo che aspetta con ansia i doni che gli manderanno per Natale e mentre «in tutte le case (italiane) si accende l’albero e si distribuiscono i doni di Natale» lui si sente solo e prova nostalgia ricordando l’atmosfera natalizia della sua infanzia. Un ateo eccellente, Jean-Paul Sartre, prigioniero nel lager nazista di Treviri scrisse “Bariona o il figlio del tuono”, «un racconto di Natale per cristiani e non credenti», come lui stesso lo definì. Maria è la donna che «lo ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio […] Ella sente insieme che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!» Maria qui è solo madre e prova sentimenti che accomunano tutte le madri. È il 1940. Due anni dopo, ad Auschwitz morirà Edith Stein, filosofa ebrea tedesca, dopo aver composto un breve saggio dal titolo emblematico: Il mistero del Natale. «La sola parola (Natale) sa di incanto, un incanto a cui, si può dire, nessun cuore può sottrarsi. Anche gli uomini di altra fede e quelli che non ne hanno affatto, per i quali la vecchia storia del Bambino di Betlemme non significa niente, fanno preparativi per la festa e pensano come poter accendere qua e là un raggio di gioia.»La ricorrenza delle festività natalizie può coincidere con la ricerca della serenità: Non ho voglia /di tuffarmi/in un gomitolo/di strade/Ho tanta/Stanchezza/sulle spalle/Lasciatemi così/come una/cosa/posata/in un/angolo/e dimenticata/Qui/non si sente/altro/che il caldo buono/Sto/con le quattro/capriole/di fumo/del focolare. /Napoli il 26 dicembre 1916 (Natale) Giuseppe Ungaretti cerca solo un po’ di riposo fra le pareti della casa amichevole che lo ospita durante una licenza. Il poeta è stanco della guerra e non vuole farsi travolgere dai vicoli intricati di Napoli, dove la poesia è ambientata. Evidente il contrasto con la condizione disumana della guerra di trincea in cui sta combattendo.
Un’altra sorta di guerra, nel 1952, ispira la lirica Natale di Salvatore Quasimodo:Guardo il presepe scolpito,/dove sono i pastori appena giunti/alla povera stalla di Betlemme./Anche i Re Magi nelle lunghe vesti/salutano il potente Re del mondo./Pace nella finzione e nel silenzio/delle figure di legno: ecco i vecchi/del villaggio e la stella che risplende,/e l’asinello di colore azzurro./Pace nel cuore di Cristo in eterno;/ma non v’è pace nel cuore dell’uomo./Anche con Cristo e sono venti secoli/il fratello si scaglia sul fratello./Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino/che morirà poi in croce fra due ladri? Il presepe, quello che non piace al figlio scapestrato di Natale in casa Cupiello, di Eduardo De Filippo, in questi versi trasmette un senso di pace. Ma, ad una più attenta lettura, risulta una condizione fittizia. Tutto è perfetto, ogni cosa al suo posto, i ruoli rispettati. Si tratta, tuttavia, di statuine, immobili nello stereotipo che è stato dato loro. Niente a che vedere con l’uomo vivo, lacerato da una costante inquietudine che si riverbera nel rapporto coldivino. Un uomo sempre pronto a scagliarsi contro il fratello. E il poeta non può che porsi e rivolgere un’imbarazzante domanda, che chiude amaramente la lirica.
Il Natale, celebrato da poeti e scrittori, è anche fonte di ricordi.
A Ceppo si faceva un presepino/con la sua brava stella inargentata,/coi Magi, coi pastori, per benino/e la campagna tutta infarinata./La sera io recitavo un sermoncino/con una voce da messa cantata,/e per quel mio garbetto birichino/
buscavo baci e pezzi di schiacciata./Poi verso tardi tu m’accompagnavi/alla nonna con dir: “Stanotte L’Angelo/ti porterà chi sa che bei regali!”./E mentre i sogni m’arridean soavi,/tu piano, piano mi venivi a mettere/confetti e soldarelli fra’ i guanciali./ Nei versi di Gabriele D’Annunzio, Il Presepio (alla nonna) , molti “ex bambini” si riconosceranno e forse ricorderanno La notte Santa di Guido Gozzano: Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei./Presso quell’osteria potremo riposare,/ché troppo stanco sono e troppo stanca sei./Il campanile scocca/lentamente le sei./– Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?/Un po’ di posto per me e perGiuseppe?/– Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;/son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe/Il campanile scocca/lentamente le sette./– Oste del Moro, avete un rifugio per noi?/Mia moglie più non regge ed io son così rotto!/– Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:/Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto./Il campanile scocca/lentamente le otto./– O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno/avete per dormire? Non ci mandate altrove! /– S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno/d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove/. Il campanile scocca/lentamente le nove. /– Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella! /Pensate in quale stato e quanta strada feci! /Son negromanti, magi persiani, egizi, greci…/Il campanile scocca/lentamente le dieci. /– Oste di Cesarea… – Un vecchio falegname? /Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente? /L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame/non amo la miscela dell’alta e bassa gente. /Il campanile scocca/le undici lentamente. /La neve! – ecco una stalla! – Avrà posto per due? /– Che freddo! –Siamo a sosta – Ma quanta neve, quanta! Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…/Maria già trascolora, divinamente affranta…/Il campanile scocca/La Mezzanotte Santa. /È nato! /Alleluya! Alleluya! – Consolati, Maria, del tuo pellegrinare! Versi memorabili, imparati a memoria per la recita scolastica di Natale da un numero incalcolabile di bambini italiani. Eppure il vero significato della poesia non risiede nella rappresentazione idilliaca della Natività. Lo scenario è desolante, si evidenziano il rifiuto, l’inospitalità, l’egoismo, il sentimento schiacciato da meri interessi commerciali. Non diciamolo ai bambini. In fondo, ancora oggi il Natale è la loro festa perché guardano il mondo con occhi puri e cuore disincantato; capaci di stupirsi di ogni cosa e solo per questo vorremmo che non crescessero mai, non scoprissero certe lordure. Ma quanti bambini nel mondo sono abusati, sfruttati,vilipesi? Quanti muoiono ogni giorno dilaniati da bombardamenti, missili e armi sempre più sofisticate? Perché l’uomo continua a rubare la loro infanzia?
Oh, generoso Natale di sempre! /Un mitico bambino/che viene qui nel mondo/e allarga le braccia/per il nostro dolore. /Non crescere, bambino, /generoso poeta/che un giorno tutti chiameranno Gesù. /Per ora sei soltanto/un magico bambino/che ride della vita/e non sa mentire.
Insieme ad Alda Merini (Generoso Natale) ci piacerebbe che ogni bambino vivesse la sua magia. Buon Natale, bambini.
E a voi, gentili lettrici e lettori, auguro di ricevere non messaggi asettici e formali su WhatsApp, non solo colorati pacchettini ma gesti capaci di colmare la sete d’amore che è in ognuno di noi. Nel tepore avvolgente di un abbraccio sincero, a tutti voi: Buon Natale!