
Sull’onda di una recente fiction televisiva, è sorto un nuovo interesse intorno alla figura di Oriana Fallaci. Giornalista e scrittrice, attivista in molteplici campi, da quello politico al femminismo, è una donna che ha segnato indelebilmente la scena letteraria e il giornalismo del Novecento. La sua penna, audace e pungente, ha spesso scosso le coscienze. Specie quando con il suo impavido spirito ha esplorato temi complessi e spesso controversi. Grazie a uno stile incisivo e provocatorio, ha messo in luce verità scomode e ha dato voce a problematiche sociali troppo a lungo ignorate. Ma chi era davvero Oriana Fallaci e quale eredità ha lasciato?
La sua vita, intessuta di ardenti passioni, interessi, sfide e battaglie intellettuali, è la testimonianza di un’epoca in rapida trasformazione. Nata il 29 giugno 1929 a Firenze, era la maggiore di quattro sorelle. Il padre, muratore e antifascista, fu arrestato e torturato dalle camicie nere. Questo e altri eventi drammatici legati alla Seconda Guerra Mondiale la segnarono nel profondo e la portarono acollaborare con la resistenza partigiana. Trasportava munizioni. Oriana Fallaci inizia la sua carriera di giornalista negli anni ’50, quando le donne faticavano a trovare spazio in professioni dominate dai maschi. Solo grazie a determinazione e intraprendenza diventerà una delle croniste più rispettate e temute del suo tempo. Spinta dalla famiglia, si iscrisse a Medicina ma la sua passione per la carta stampata era più forte. Così negli Anni 50 si trasferì a Milano. Esordì su Epoca. Il direttore responsabile, un suo zio, per non essere tacciato di favoritismi, le assegnò lavoretti di poco conto ma Oriana mostrò fin da subito una spiccata personalità. Quando lo zio fu licenziato da Epoca, anche Oriana lasciò il settimanale per L’Europeo, con cui collaborerà fino al 1977. Nell’effervescenza del cambiamento culturale che si respirava in tutto l’Occidente, Oriana fu inviata a New York per studiare da vicino la società americana in trasformazione, il fenomeno hippy, la controcultura e la guerra del Vietnam. Dall’osservatorio americano nacque il libro” I sette peccati capitali di Hollywood”, prefato da Orson Welles. Fu quasi uno scandalo. L’opera, infatti, era unacruda radiografia di ciò che accadeva nella mecca del cinema, non la facciata patinata di Hollywood ma il dietro le quinte dei potenti del cinema. Il testo sancì la sua fama di giornalista dalla penna spietata. Ma lei non cercava la notorietà, benché ne fosse lusingata. Per questo nel 1967 diede una svolta alla sua attività di giornalista, recandosi in Vietnam. Fu la prima donna corrispondente di guerra. I suoi reportage dal Vietnam, (dodici viaggi in sette anni), e le corrispondenze di guerra tra India e Pakistan, Sud America e Medio Oriente appartengono alla storia del giornalismo. Così come le sue interviste a capi di stato e figure di spicco nel panorama politico sociale degli anni Settanta. Ricordiamo il suo incontro con Henry Kissinger o con Yasser Arafat, e molti altri, ai quali non risparmiò domande scomode e incalzanti, non permettendo agli intervistati di sottrarsi. Nel 1968 Oriana Fallaci si recò a Città del Messico per le Olimpiadi. Durante una manifestazione, soppressa dalla polizia, con oltre 250 morti, fu ferita anche lei. Creduta morta, venne portata all’obitorio dove ebbe la fortuna di essere notata da un sacerdote il quale, accortosi che respirava ancora, la salvò. In seguito, scrisse: “È stato un massacro ben peggiore di quelli che ho visto in guerra.” Neppure questa terribile esperienza la fermò, a riprova della passione che l’animava e del bisogno incessante di cercare la verità per poterla diffondere. Anche se- diceva- non sempre gli uomini vogliono ascoltare la verità. Quello che più colpisce della Fallaci è la capacità di vivere i fatti che raccontava. Il dovere di cronaca imponeva il mero racconto degli accadimenti, ma lei andava oltre: ne era partecipe. Oriana Fallaci non è stata solo una cronista spietata, ma anche una apprezzata scrittrice, realizzando così il sogno della sua vita. Un excursus nei libri che ha scritto è come un viaggio nella mente di una grande donna e comunicatrice. Ha saputo intrecciare battaglie, relazionied esperienze personali con le trasformazioni che il mondo viveva. Il risultato è un mosaico ricco e variegato che ci consegna una scrittrice e una donna profondamente umane. L’una coincide con l’altra. Senza paura di mostrare persino le sue fragilità, per esempio nel libro “Lettera a unbambino mai nato”. È un’opera pubblicata nel 1975, ma il manoscritto, trovato da un nipote nella casa newyorchese della Fallaci, è datato 1967. È appena il caso di ricordare che la legge sull’aborto in Italia risale al 1978. In questo struggente monologo la scrittrice affronta con intensità e profondità il tema della maternità, della vita e della morte. È strutturata come una lunga lettera che la protagonista, una donna senza nome, indirizza al figlio che porta in grembo, ma che non nascerà mai. È un’occasione per la scrittrice di riflettere su questioni esistenziali e morali legate alla condizione femminile, alle responsabilità di essere madre e alle scelte che la vita impone. “Essere mamma non è un dovere: è solo un diritto tra tanti diritti. /La voce del sangue è un’invenzione. La mamma non è colei che ti porta nel ventre, è colei che ti cresce. O colui che ti cresce. / Il figlio che hai voluto perdere non lascia vuoti. La sua scomparsa non reca danno né alla società né al futuro. Ferisce soltanto te, e oltremisura.” Ogni parola è carica di emozione. Forse anche per questo, “Lettera a un bambino mai nato” può essere definito un manifesto sulla fragilità dell’esistenza. Un testo altrettanto emblematico è “Un uomo”. In un’intervista rilasciata a Panorama la scrittrice riflette sulle diverse definizioni date al suo libro: ideologico, romanzo-véritè, sul Potere e l’anti-Potere, romanzo classico o moderno con elementi della tragedia greca. Significa che quando un libro viene pubblicato, vive di vita propria. Non è più quello che lo scrittore voleva che fosse. Ma lei che cosa avrebbe voluto che fosse? “Un libro sulla solitudine dell’individuo che rifiuta d’essere catalogato, […] incasellato dalle mode, dalle ideologie, dalle società, dal Potere. Un libro sulla tragedia del poeta che non vuole essere uomo-massa, strumento di coloro che comandano, che promettono, che spaventano. Siano essi a destra o a sinistra o al centro […] Un libro sull’eroe che si batte per la libertà e per la verità, […] e per questo muore ucciso da tutti: dai padroni, dai servi, dai violenti e dagli indifferenti”.
Dopo l’attacco alle torri gemelle, scrive per il Corriere della Sera il memorabile articolo “La rabbia e l’orgoglio”, poi diventato libro. Un pezzo letto e commentato in tutte le scuole superiori d’Italia. Il titolo è la perfetta sintesi del contenuto. Un manifesto che affronta il tema del terrorismo islamico con passione e senza paura, mettendo in discussione le convinzioni comuni e invitando i lettori a riflettere sul futuro dell’Occidente. Lo schianto degli aerei contro le torri, a due passi da casa sua, viene paragonato ad un coltello infilzato in un panetto di burro. Immagini e parole forti, di accusa nei confronti di ogni sorta di fanatismo ma anche di chi resta a guardare. “Vi sono dei momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre”. In tal modo l’indomita Oriana Fallaci dichiara l’impossibilità di mantenere quel silenzio che si era precedentemente auto-imposta come unica soluzione per lenire la sua rabbia di fronte ad un’Italia che l’aveva delusa. Fece rumore, suscitando reazioni divergenti: ammirazione, ma anche critiche e fu persino processata. A ben vedere, dunque, la vita di Oriana Fallaci e la sua incessante opera di comunicatrice non potevano passare inosservate. E ci ha lasciato un’eredità di notevole rilevanza: lottare per la giustizia; avere il coraggio di esprimere opinioni impopolari; combattere per ciò in cui crediamo; guardare oltre le convenzioni. E, soprattutto, cercare sempre la verità. Nel mondo attuale, dove le verità sono mezze verità, se non fake news, abbiamo bisogno di nuove giornaliste e giornalisti, scrittrici e scrittori simili a Oriani Fallaci. La quale con lucida consapevolezza ha capito quando è arrivato il momento di ritirarsi dalla scena pubblica. Il libro “La rabbia e l’orgoglio” si chiude in modo perentorio: “Stop. Quello che avevo da dire l’ho detto. La rabbia e l’orgoglio me l’hanno ordinato. La coscienza pulita e l’età me l’hanno consentito. Ora basta. Punto e Basta.” E così è stato. Malata di cancro ai polmoni, tornò in Italia per morire il 15 settembre 2006, guardando l’Arno. Il fiume che costeggiava ogni giorno per aiutare i partigiani.