I percorsi identitari, espressione del diritto dei popoli alla conservazione e alla valorizzazione della cultura e dei territori di provenienza, sono spesso complicati. Nel mondo globalizzato ed indifferenziato a tratti paiono nascosti. A volte sembrano destinati a scomparire, soffocati dal livellamento delle mode e delle tendenze contemporanee.
In realtà la domanda di memoria e quindi “di radici” torna a riemergere, in forme inusuali, capaci di coniugare modernità e ricordi, tradizioni e sfide “ricostruttive”.
Un bell’esempio di queste tendenze è il cosiddetto “turismo delle radici” ovvero “turismo delle origini”, vera e propria calamita culturale in grado di coinvolgere ed attrarre tutte quelle persone che tornano verso il Paese di origine della propria famiglia, per riavvicinarsi alle radici della propria storia familiare e culturale.
In Italia è un fenomeno in aumento, che potenzialmente coinvolge tra i 60 e gli 80 milioni di persone provenienti da tutto il mondo (dati Enit-Agenzia nazionale del turismo).
Nel turismo delle radici, chi torna verso il Paese di provenienza della propria famiglia lo fa spinto da un grande interesse culturale e storico e dalla voglia di riappropriarsi delle tradizioni di un territorio, fino a diventarne “Ambasciatore nel mondo”.
La sua ricerca riguarda luoghi, lingua, cucina, persone… ma è soprattutto la voglia di sentirsi parte di una storia e di un territorio. Chi arriva in Italia con questo obiettivo, desidera portarsi a casa esperienze positive e relazioni umane, di ricucire una memoria, personale e familiare, di ritrovare un’identità, magari “orecchiata” nei ricordi degli anziani, nelle sbiadite fotografie d’annata, nelle lettere, un po’ sgrammaticate, dei bisnonni.
Siamo di fronte a una forma di turismo che più delle altre ha a che fare quasi esclusivamente con il turista. Infatti, gli permette di conoscere e di scoprire qualcosa che gli appartiene, che fa parte della memoria delle sue radici, al punto che si può parlare di “turismo genealogico” in quanto si riferisce principalmente ai discendenti di emigrati che durante le ferie tornano a visitare e a vivere i luoghi dei loro antenati.
Ma il turista genealogico o di ritorno non solo è interessato a conoscere la storia dei propri ascendenti visitando i luoghi dove hanno vissuto e lavorato, ma anche a scoprire nuove forme di cultura, tradizioni legate all’artigianato e all’enogastronomia di quei territori.
In questa prospettiva il “turismo delle radici” è un utile strumento per coinvolgere le nostre comunità all’estero, individuando delle strategie migliori per creare un’offerta turistica ad hoc; potenziando la rete dei musei dell’emigrazione italiana; favorendo la sistematizzazione delle attività dedicate all’approfondimento della storia locale, della lingua e della cultura italiana; incrementando la digitalizzazione degli archivi delle anagrafi italiane ed aumentando la domanda di documenti genealogici e delle relative storie familiari; portando a creare degli itinerari standard a cui abbinare esperienze personalizzate (ad esempio con degustazioni di prodotti tipici o possibilità di svolgere attività artigianali o ancora di partecipare a sagre e feste locali); consentendo di ripartire da esperienze autentiche a contatto con il territorio, da proporre ai giovani oriundi italiani, esperienze che sostengono il lavoro artigianale e le filiere produttive dei territori.
Oltre che una potenzialità, di conoscenza, di cultura, di memoria, il “turismo delle radici” ha perciò anche una valenza economica, da non sottovalutare. Nel solo continente americano, in particolare dal Brasile, Argentina e Stati Uniti, ogni anno arrivano in Italia circa 670.000 turisti con un fatturato che si avvicina ai 700 milioni di Euro. E il Pnrr non è insensibile, visto che gli dedica 20 milioni di euro.
A capofila del Progetto il Ministero degli Esteri, con l’idea di coinvolgere le comunità italiane all’estero presenti in tutto il mondo attraverso la valorizzazione della nostra offerta turistica, all’interno di una strategia volta a invertire il processo di depauperamento dei borghi italiani, sostenendo attivamente il rilancio della nostra cultura, del nostro turismo e della nostra economia. L’obiettivo consentire una riscoperta “a tutto tondo” dei luoghi di provenienza, consentendo ai visitatori di riappropriarsi della cultura delle loro origini anche attraverso tradizioni, testimonianze, artigianato e gastronomia.
Correlata al “turismo delle Radici” è la valorizzazione del ruolo della memoria. Le storie di emigrazione, sacrificio e successo degli avi sono un fermo punto di riferimento per gli italo-discendenti nei cinque continenti. Proprio per questo, la Direzione Generale degli Italiani all’Estero e delle Politiche Migratorie della Farnesina ha finanziato il progetto “Italiani all’estero, i diari raccontano”, una selezione delle parti più significative delle testimonianze raccolte nel fondo catalogato con il soggetto “emigrazione” presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (AR).
Si tratta di una selezione di duecento storie di vita, tra più di mille presenti nel fondo, dalle quali sono state estrapolate e digitalizzate alcune pagine scelte tra le decine, a volte centinaia totali disponibili. In questo modo ogni pagina si è trasformata in un racconto, pubblicato nel sito www.idiariraccontano.org
I criteri seguiti per la scelta delle testimonianze da pubblicare riguardano l’interesse storico delle singole traiettorie umane raccontate nei documenti. Oltre all’interesse di presentare punti di vista diversi sui grandi avvenimenti storici, questo progetto si è posto l’obiettivo di raccontare il vissuto comune a tutte le esperienze migratorie, che costituiscono il nucleo principale della selezione documentale insieme ai racconti di viaggio o di lavoro temporaneo all’estero, realizzando una ricca fonte di consultazione per i turisti delle radici, che potranno usufruirne anche prima di intraprendere il loro viaggio in Italia.
Appare perciò bene evidente come il “turismo delle Radici”non sia, o, quantomeno, non sia solo folklore. È piuttosto un’opportunità, una risorsa, da declinare su più piani: quello culturale, segno di un’identità diffusa da recuperare e valorizzare; il piano socio-politico, in rapporto al rafforzamento dei legami che uniscono l’Italia con tutti gli italiani nel mondo; il livello economico, non solo per l’apporto al nostro Pil dei flussi turistici, quanto anche per le ricadute sui territori coinvolti, i borghi in cui era più forte, nel passato, sentire il bisogno di partire alla ricerca di fortuna nel mondo.
Non è che l’inizio. L’orizzonte immediato guarda al 2024, l’Anno delle radici italiane nel mondo: una sfida a cui prepararsi puntando a coinvolgere tutto il Paese, rivendicando, con orgoglio un’appartenenza, dentro e fuori i confini nazionali.