Ad ottobre prossimo dovrà essere rinnovata l’intesa segreta stipulata nel 2018 tra Santa Sede e governo cinese e rinnovata ogni due anni.
La politica del vaticano nei confronti della Cina e dei cattolici di quel Paese tradizionalmente e soprattutto con San Giovanni Paolo secondo e con Papa Benedetto è sempre stato caratterizzata da due catteggiamenti fondamentali: da una parte, un profondo affetto spirituale per tutti i cattolici in Cina e una stima per il popolo cinese e, dall’altra parte, un continuo richiamo ai perenni principi della tradizione cattolica in campo ecclesiologico, illuminati sempre da uno spirito di carità, unità e verità.
Pur non potendo ignorare le note difficoltà che la Chiesa in Cina doveva affrontare quotidianamente, Benedetto XVI, ad esempio, si è sempre dichiarato disponibile ed aperto ad un sereno e costruttivo dialogo con le Autorità civili al fine di trovare una soluzione ai vari problemi, riguardanti la comunità cattolica, e di arrivare alla desiderata normalizzazione dei rapporti fra la Santa Sede e il Governo della Repubblica Popolare Cinese.
In effetti Benedetto XVI fece compiere una accelerazione quanto ad attenzione della Chiesa verso la Cina e la Chiesa cinese.
La storia dell’impegno dei papi verso la Cina peraltro dura da secoli.
Senza l’azione dei romani Pontefici la Chiesa in Cina sarebbe meno cinese e meno cattolica.
E questo vale tanto più oggi.
La presa di potere di Mao accrebbe, come è noto, la persecuzione dei fedeli, ma non interruppe l’interesse da parte della Chiesa cattolica e il dialogo con il regime. Con Giovanni Paolo II ripresero i messaggi verso la Cina, pubblici e riservati, insieme alle denunce della persecuzione e alla preghiera per persecutori e perseguitati. Benedetto XVI seguì la linea tracciata da Giovanni Paolo II e parlò esplicitamente della persecuzione che soffrivano i cristiani in Cina.
Con l’arrivo di Papa Francesco si sono create alcune condizioni per riprendere il dialogo con la Repubblica popolare cinese, che ha portato all’Accordo provvisorio del 2018. Francesco ha sempre affermato di voler proseguire nella linea politica che aveva ispirato la Santa Sede verso questo grande Paese. Sta di fatto, però, che, in realtà, l’approccio e la prospettiva con cui l’attuale pontefice ha affrontato il problema sono diversi. Infatti condizione imprescindibile perché ci sia effettiva libertà religiosa – alla quale Benedetto XVI teneva molto – è non solo che la Chiesa sia lasciata libera di predicare sulla fede, ma anche quella di avere la possibilità di denunciare in modo “vivo e stringente” le “forze che in Cina influiscono negativamente sulla famiglia”. Questa richiesta di libertà di parola su vita e famiglia, “non negoziabile” per Benedetto XVI, sembra essere stata lasciata cadere dal suo successore.
A questo punto dobbiamo chiederci: l’accordo segreto con la Cina ha visto cessare le persecuzioni per i cattolici ? Si sono aperti spazi di maggiore libertà religiosa ? La risposta dovrebbe essere scontata.
Attualmente il meccanismo funziona cosi: il regime comunista decide e il Papa dà l’assenso. Purtroppo l’applicazione di questa parte dell’accordo non ha fermato affatto la persecuzione di sacerdoti e vescovi che non accettano la subordinazione al Partito Comunista. Ma l’aspetto più rilevante è il fatto che il regime cinese, per qualsiasi atto riguardante la Chiesa cattolica, mai menziona la Santa Sede e il Papa e tanto meno gli accordi. Inoltre il Piano quinquennale per la sinicizzazione del cattolicesimo in Cina (2023-2027), approvato il 14 dicembre scorso dalla Conferenza dei vescovi cattolici e dall’Associazione Patriotica (organismi entrambi sotto il controllo del Partito Comunista) non nomina mai il Papa né la Santa Sede né l’intesa.
E perché – ci si potrebbe chiedere – “non nomina mai il Papa e la Santa Sede; né l’accordo intervenuto tra il Vaticano e la Cina”? Forse perché con sinicizzazione si intende ovviamente la totale subordinazione della Chiesa alle direttive del Partito Comunista.
La Santa Sede è intenzionata a rinnovare comunque l’accordo segreto. Lo ha detto il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin: “L’accordo scadrà in ottobre”… “noi speriamo di rinnovarlo”… “su questo punto stiamo dialogando con i nostri interlocutori”.
Mancano però ancora alcuni mesi prima di una decisione definitiva ufficiale, dopo due rinnovi biennali, quest’anno è attesa l’ultima parola sull’accordo. Ci sarebbe quindi del tempo per cercare di spuntare ancora qualche concessione ad un governo cinese che a queste condizioni ha solo da guadagnarci, perché può procedere ad un controllo sempre maggiore della Chiesa cattolica. La questione non riguarda solo la nomina dei vescovi ma il processo di sinicizzazione della Chiesa cattolica che il regime persegue almeno dal 2015 e che diventa sempre più soffocante tanto da continuare incomprensibilmente a negare l’istituzione di un ufficio della Santa Sede in Cina.