• 3 Dicembre 2024
La mente, il corpo

“Porterei nel mio studio chiunque pensi ogni giorno alla morte, ma vi trascinerei con la forza chiunque non ci pensi mai ” (C.G.Jung).

Nel nostro secolo la morte è qualcosa di cui non si deve parlare, è esiliata nei reparti ospedalieri e di cura, si evita di nominarla alle persone che stanno morendo creando in loro una forte ansia. Non se ne parla con i bambini, non si dice loro che una persona è morta, lasciandoli con le loro fantasie e privati di strumenti per affrontare una tempesta emotiva. La morte diventa un tabù. Si vuole ignorare la morte, ma questa risulta essere intrecciata con la vita dell’uomo (C. Pavese,1962).

La relazione dell’uomo con la morte si è modificata nel tempo seguendo l’evoluzione della società. Si è passati da rendere ordinario e abituale la paura della morte, anticipandola e rendendola pubblica alla negazione della stessa. Nel caso della malattia si pensa alla morte come strategia di difesa dalla sofferenza.  Rimuovere la morte, aumenta il senso di onnipotenza dell’uomo. Negli ultimi tre anni con il Covid 19, siamo stati messi davanti alla morte di milioni di persone e la stessa ha preso un posto di rilievo nella vita di tutta la società. Heidegger insegna che ci si adegua alla morte, smettendo di parlare della morte che riguarda qualcun altro, e si comincia a pensare che ognuno di noi può morire, e di essere mortale.

Lo stesso autore cita ” luomo appena nato, è già abbastanza vecchio per morire”. In questo secolo la tanatofobia – la paura della morte – accompagna l’esistenza dell’uomo e porta le persone a scansare ogni pensiero su di essa, costruendo difese che impediscono di comprenderla. L’uomo gestisce l’ansia per la morte attraverso la fede religiosa, le relazioni interpersonali, la filosofia. La paura della morte ha la sua vetta tra i 40 e i 60 anni, per diminuire in età più avanzata. Il COVID 19 ha fatto presente a chiunque di qualsiasi età che si può morire, mettendo fuori uso le difese dell’uomo per affrontare l’ansia scaturita dai pensieri e dalla minaccia di morte.  

La morte è un evento inevitabile ed invincibile: “e tanto peggio è compreso il concetto di morte, tanto più si associa ad un livello maggiore di paura; al contrario più viene maturata unidea completa di morte e meno essa sarà accompagnata da sentimenti di ansia “ (Slaughter &Griffiths,2007).

In relazione alla morte si deve vivere una vita senza avere questioni sospese, così che si vive con pienezza e non si ha paura né di vivere e né di morire. Bisogna essere pronti, sapere che la vita ha uno scopo, un significato, un senso, sapere che la qualità della vita è più importante della quantità di vita, e quindi si accetta che la nostra presenza in questo mondo non può e non deve durare per sempre. L’esperienza di morte è sempre oggettiva, mai soggettiva, e non avendo testimonianza diretta sfugge al potere della ragione e dei sensi. Elisabeth Kubler- Ross (medico, psichiatra, tanatologa) sostiene che non si è mai soli nella morte, esistono tre ragioni per cui nessuno può morire da solo: i pazienti in punto di morte prendono coscienza della presenza di esseri che li circondano, li guidano e li aiutano; i pazienti saranno sempre accolti da chi sono stati amati e da chi li ha preceduti nella morte; quando si abbandona il corpo temporaneamente prima della morte, ci si trova in una dimensione priva di tempo e di spazio, per cui ci si può recare in qualunque posto alla velocità del pensiero.

Oggi la morte ha perso quel ruolo comunitario con i riti di supporto e le credenze e consuetudini radicate e tramandate nel tempo; la morte viene vissuta in piena solitudine. Le fasi del lutto hanno bisogno dell’altro che ascolta e che consola.

La comunità deve stringersi intorno a chi soffre. Il rito funebre aiuta l’elaborazione della perdita, porgendo l’ultimo saluto con tempi e modalità che favoriscono il distacco dalla persona defunta. La presenza del corpo, della salma è fondamentale per accettare la realtà della morte, ed iniziare il percorso del lutto che può essere favorevole o complicato.  

La morte è un passaggio all’ignoto, all’infinito, all’eternità. Come possiamo vivere un’esistenza consapevole della morte?  Incorporando in tenera età l’argomento; bilanciando il controllo sulla vita con l’accettazione della morte; trovando una collocazione all’interno di noi dell’oggetto perduto.

Autore

Psicologa clinica della persona dell'organizzazione e della comunità Psicogeriatra e docente dello stesso Master - La Sapienza. Coach cognitivo Criminologa minorile Dipendente Regione Lazio