• 21 Novembre 2024
Editoriale

L’idea di nazione è da secoli al centro di infiniti dibattiti e di innumerevoli studi storici, filosofici, antropologici. I saggi sull’argomento possono riempire intere biblioteche. Ci sono classici sul patriottismo e lo spirito che anima una nazione che hanno fatto scuola come il libro di Federico Chabod Lidea di nazione oppure Onore e patria di Lucien Febvre. Da segnalare, di recente, il volume di Anthony Smith La nazione. Da noi, vanno ricordati, tra gli altri, gli studi di Gioacchino Volpe, Alfredo Oriani e quelli, più vicini, di Emilio Gentile, sulle vicende che hanno portato alla costruzione dello Stato unitario e al riconoscimento dell’identità nazionale. Ne La Grande Italia. Il mito della nazione nel XX secolo Emilio Gentile descrive il carattere particolare dell’idea di nazione nella cultura politica italiana e il suo stretto legame con i processi storici che hanno contribuito a rivelarne l’identità. “Nella cultura politica dell’Italia liberale – ricorda Gentile – emergeva sempre più nettamente la concezione dell’identità nazionale come coscienza di un passato comune, da cui scaturisce la fede in un futuro comune. La nazione, così concepita, era considerata il risultato di un processo di formazione storica che culminava, nell’epoca moderna, con l’apparizione di un sentimento nazionale, come lo definiva Giuseppe Carle, cioè di una coscienza e volontà di essere nazione che si realizzava nell’organizzazione di uno Stato indipendente e sovrano. Rivendicando l’originalità del pensiero italiano nella definizione del principio di nazionalità, Carle eliminò ogni residuo di naturalismo nella definizione della nazione, attribuendo un peso decisamente preponderante all’elemento storico e tradizionale della formazione delle nazionalità moderne”.

In definitiva, secondo questo studioso, dalla storia la nazione deriva la sua origine e la sua legittimazione, diventando “il principio organizzatore dello Stato moderno” e “l’unico, che possa essere posto a fondamento di un diritto internazionale, che possa convenire agli Stati moderni”.

La storia, concepita come attività creatrice della volontà e dello spirito umano, era la matrice e la giustificazione del mito nazionale. Questa idea di nazione ha retto fino ad un certo punto.  Quel mito, da noi, subì negli anni, varie metamorfosi, le quali portarono alla nascita di differenti nazionalismi. Sempre Emilio Gentile descrive, con ricchezza di argomentazioni, le varie opzioni nazionaliste che infervorarono il clima del primo decennio del XX secolo. In questo periodo ci fu “la rigogliosa fioritura di un vario nazionalismo italiano, che non si esauriva nella nuova versione bellicosa e imperialista, ma si richiamava ai diversi movimenti della rivoluzione risorgimentale e alle più recenti concezioni della vita e dell’uomo, che interpretavano il fenomeno nazionale nel quadro di una rinnovata visione umanistica e universalistica della modernità.

Senza immergerci nelle speculazioni di autorevoli studiosi come Gentile, Croce, Prezzolini, Oriani o di ardenti scrittori e politici nazionalisti come Corradini o di giuristi come Alfredo Rocco, qui preme mettere in evidenza la versatilità e mutevolezza della idea di nazione, sia nell’arco del Ventennio fascista che nelle epoche successive.

La seconda guerra mondiale segnò l’apice del nazionalismo europeo iniziato con la Rivoluzione francese e, al contempo, l’inizio del suo declino. “Il mito della nazione trovò un nuovo fertilissimo terreno di coltura nei paesi del Terzo Mondo, diventando il mito propulsore dei movimenti anticolonialisti”.

Mentre, in epoche più recenti, dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’impero sovietico, il nazionalismo europeo tornerà a scandire i ritmi della storia trovando spazio e nuovo vigore in molti degli ex paesi satelliti di Mosca, oltre che in settori non marginali della politica occidentale.

Tra le analisi più profonde ed efficaci sul nazionalismo arriva finalmente nella traduzione italiana Nationalism, il saggio di Elie Kedourie. Scritto nel 1960, il testo è ancora di straordinaria attualità, un classico del pensiero politico contemporaneo. La nuova edizione include  l’introduzione alla quarta edizione che l’autore scrisse nella primavera del 1992, poco prima di morire improvvisamente. Kedourie introduce il lettore nel complesso e articolato mondo del nazionalismo offrendo argomenti pregnanti sulla natura di questo movimento ideologico che tanta influenza, spesso nefasta e distruttiva, ha avuto e continua ad avere nel mondo.

Dietro ogni teoria c’è una biografia, avverte nella introduzione Alberto Mingardi, autore del saggio introduttivo all’opera di Kedourie. In effetti tutto il pensiero di Elie Kedourie  si snoda nell’arco di una vita intensamente dedicata allo studio e all’insegnamento, punteggiata da incontri con altrettanti autorevoli studiosi con i quali ha scambiato opinioni, confrontato idee e sviluppato  solide amicizie.

Elie Kedourie (all’anagrafe Eliahou Abdallah Kedouri) nasce a Baghdad il 25 gennaio 1926. La sua famiglia apparteneva a una comunità che “discendeva in linea continuativa e ininterrotta da quegli ebrei i quali, nel 597 a.C., giunsero a Babilonia insieme a Yahoiakin, re di Giuda. Per generazioni, gli ebrei di Baghdad furono i banchieri dei governatori delle province mesopotamiche dell’impero ottomano. Nella seconda metà del Diciannovesimo secolo, la fine del monopolio della Compagnia delle Indie orientali, l’espansione del porto di Bassora e soprattutto l’apertura del canale di Suez nel 1869 fecero la fortuna di quelli di loro che erano mercanti”. Questa, ricorda Mingardi fu pure la storia dei Kedourie; una storia che si dipana tra alterne fortune, migrazioni di massa verso l’Estremo Oriente, tormentate vicende politiche e definitivi approdi londinesi. Proprio a Londra, alla London School of Economics, Elie Kedouirie terrà i suoi corsi di lezione che poi si trasformano in libri.  “E’ il caso di questo volume – rivela ancora Mingardi – che sortisce da un concorso che Kedourie tenne su suggerimento di Michael Oakeschot, direttore del Dipartimento di Scienza politica, che lo chiese al giovane ricercatore non appena arrivato, nell’ottobre del 1953”.  “Sul tema, Kedourie aveva scritto a ventisei anni un saggio centrato sul nazionalismo in Medio Oriente, Minorities, poi a ventisette anni cominciò a lavorarvi più diffusamente per pubblicare un lavoro di respiro teorico e storico impressionante come questo ad appena trentaquattro anni. Nationalism ha avuto quattro edizioni successive ma nessuna autentica revisione”. Ciò dimostra, oltre alla sua attualità, la solidità di un pensiero teorico che, soprattutto per la critica all’interesse prevalente per la “storia sociale” (“indubbiamente una delle conseguenze delle idee marxiste e della loro ampia diffusione”) e gli attacchi rivolti alla scuola delle “Annales”, provocò non poche polemiche storiografiche delle quali l’autore non si preoccupò più di tanto.

Kedourie considera il nazionalismo un costrutto ideologico. Da qui si snoda il suo primo lavoro di storicizzazione del fenomeno, teso a situarne l’ambito di applicazione e le circostanze di svolgimento.  Il libro inizia con una affermazione netta: “Il nazionalismo è una dottrina inventata in Europa all’inizio del Diciannovesimo secolo. Essa pretende di fornire un criterio per la determinazione dell’unità di popolazione più adatta ad avere un proprio governo per l’esercizio legittimo del potere nello Stato, e per l’organizzazione corretta di una società di Stati. In estrema sintesi, tale dottrina ritiene che l’umanità sia divisa naturalmente in nazioni, che tali nazioni siano conosciute in virtù di certe caratteristiche che possono essere verificate e che l’unico tipo legittimo di governo sia l’autogoverno nazionale”.

A tale affermazione segue la constatazione che queste idee sembrano ora pressoché naturali nella retorica politica dell’Occidente della quale ci si è poi appropriati in tutto il mondo. Ma ciò che ora appare naturale un tempo era tutto fuorché familiare…quello che oggi sembra semplice e trasparente in realtà è oscuro e macchinoso, ed è l’esito di circostanze ormai dimenticate e di preoccupazioni ormai accademiche, il residuo di sistemi metafisici talora incompatibili e persino contraddittori. Per spiegare questa dottrina – scrive Kedourie –  è necessario interrogarsi sul destino di alcune idee nella tradizione filosofica dell’Europa e domandarsi perché abbiano occupato il centro della scena in un particolare momento storico. E se nell’illuminismo l’autore scova non poche contraddizioni, è nella idea di autodeterminazione di Immanuel Kant che Kedourie individua “una via per fuggire, soddisfacente e convincente”, la risposta agli innumerevoli interrogativi che la filosofia poneva, la soluzione idonea ad offrire “una nuova certezza, capace di sostituire le vecchie certezze metafisiche che non convincevano più”.

Il nazionalismo, quindi, secondo l’autore, altro non è che la dottrina dell’autodeterminazione nazionale. È questa la fonte della sua vitalità. In quest’ottica, spiega ancora Kedourie, ha poco senso chiedersi se il nazionalismo sia di destra o di sinistra. Non è né di destra né di sinistra. “Destra e sinistra sono concetti che sorgono nel corso della lotta fra aristocrazia, classi medie e classe operaia nei Paesi europei nel Diciannovesimo e nel Ventesimo secolo e diventano riferimenti incomprensibili al di fuori di quella storia”. Così come è più corretto sostenere che l’identità nazionale “sia la creazione di una dottrina nazionale, anziché dire che una dottrina nazionalista sia l’emanazione o l’espressione di una identità nazionale”. La stessa pretesa del marxismo di spiegare il nazionalismo come epifenomeno dello stadio più avanzato del capitalismo e degli interessi borghesi, viene giudicata da Kedourie “manifestamente assurda” dal momento che tutta l’evidenza ci mostra che il nazionalismo non è un “riflesso” del mondo di produzione capitalistico e che esso può presentarsi in società che hanno le strutture economiche e sociali le più diverse.

Autore

Giornalista e scrittore, ha ricoperto importanti incarichi pubblici. E’ stato sindaco di Colleferro per tre mandati e presidente della Provincia di Roma. Parlamentare del centrodestra per due legislature, è stato Sottosegretario alle Infrastrutture durante il governo Berlusconi e presidente della Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati. Nella lunga esperienza di amministratore ha ricoperto il ruolo di vicepresidente dell’Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani) e dell’Upi (Unione Province italiane). Ha fatto parte del Cda del Formez. E’ membro del Consiglio direttivo dell’Eurispes. Autore di numerosi saggi e collaboratore di varie riviste, durante la carriera giornalistica è stato, tra l’altro, condirettore del Secolo d’Italia e di Linea. Nel 2020 ha fondato e diretto il mensile “Il Monocolo”.