• 3 Dicembre 2024
Itinerari

Nel 703, Paldone, Tatone e Tasone, due fratelli ed un cugino, principi beneventani, probabilmente per motivi di natura politica decisero di allontanarsi dalla famiglia e dalla terra natia senza far capire che la loro intenzione era di andarsene definitivamente in Gallia. Arrivati a Farfa (Fara Sabina) bussarono alla porta del monastero benedettino dedicato a Maria Madre di Dio e furono accolti come ospiti da Tommaso di Morienna, Abate di quel luogo. A lui confessarono la loro origine e i veri motivi per cui si erano allontanati da casa.

Tra quelle mura i tre principi divennero monaci. Dopodiché, riconciliatisi con i propri genitori tra le stesse mura del Monastero, ricevettero in concessione dal Duca Gisulfo di Benevento l’Alta Valle del Volturno comprese le sue sorgenti. Dal Racconto del Chronicon Volturnense fu lo stesso Tommaso di Morienna ad indicare ai tre cugini il luogo dove fermarsi e fondare un nuovo monastero, si sarebbe espresso così: “ Dilettissimi figli, il luogo dove desidero che voi andiate, si trova nelle parti del Sannio, sulla riva del fiume Volturno, a circa mille passi da dove ha inizio”. Alle sorgenti di quel fiume avrebbero costruito la loro Abbazia lì dove esisteva un piccolo oratorio dedicato a “San Vincenzo alle fonti del Volturno”, in locum ubi Samnia vocatur. Era quello il luogo della più antica e Sannita “Sannia”, tanto che per tutto il medioevo il monastero volturnense continuò a chiamarsi “Castellum Sampnie” era quello il luogo del “capo d’acqua”.

Il capo d’acqua; la sorgente di quel corso d’acqua a cui quel popolo italico attribuiva una grande considerazione tra i tanti elementi geografici e naturali ad essi più appariscenti. I monti, la natura boschiva, il clima, le valli e ancor più le acque. Quel corso quasi insignificante alla sua sorgente, insieme al Biferno ed al Trigno, andrà ad essere il fulcro per secoli del territorio Sannita, la base indiscussa del bacino idrografico della Pentria. Il Volturno, con le tre valli del suo corso, segnerà il confine idealizzato del popolo italico dei Sanniti, dai monti fino al mare, il confine naturale  oltre il quale a Nord, tutto era terra di conquista. Il grande e lungo fiume era guardato con rispetto, non solo nelle gole boschive ed impervie del tratto montano da cui scendeva dopo il suo “nascere” in quella silenziosa e dolce piana, ma anche nelle valli che oggi conosciamo come Alta, Media e Bassa Valle del Volturno e ad esso dedicavano un culto che praticavano per ringraziarlo della fertilità con cui arricchiva i campi; ma soprattutto onoravano il Dio Volturno perché risparmiasse a tali valli i disastri delle sue inondazioni, durante le quali, al dire del poeta latino Publio Papinio Stazio, “trascinava campi e faceva roteare selve nel suo letto”. Tali fenomeni erano più frequenti nel Basso Volturno dove ebbe un culto, fortemente sentito in una vasta area nei dintorni della etrusca Capeva (Capys o Capye, in latino Capua) ove periodicamente il fiume non risparmiava alcunchè nei momenti di piena, distruggendo ciò che incontrava con una tale potenza da cambiare più e più volte il suo stesso corso: il culto del Dio Volturno che aveva i suoi giorni di particolare solennità i “Volturnali”.

Volturno un nome più antico di quanto si pensi che nasce dall’etimologia osco-sannita Olotronus, sulla base della radice etrusca Vel e del suffisso Thur (Velthur), che richiama e deriva dalla forma sinuosa del fiume (“il fiume curvo”), con la prima parte dalla radice indoeuropea -uel(e) (curvare) e la seconda parte formata dal suffisso -ter- (volgere, volvo) ovvero UELTER pronunciato VOLTER cosa che fece propendere Mommsen al “volvere”, il volgere, il vorticare delle acque. Da qui al latino “Volturnux rapax o Volturnus celer” sempre riferito alla velocità delle sue acque nelle piene, per giungere infine a “Volturno”. Eppure nonostante la cattiva fama idealizzata dalla sua etimologia, intorno alle sue rive e nelle sue vicinanze, nacquero vici, città, celle monastiche e monasteri di grandissimo splendore e potere politico. Sammia, Rufrue, Callifae, Allifae, Aesernia,Venafrum, Telesia, Caiatia, Casilinum, sono solo alcune delle città legate al suo corso in modo diretto o ravvicinato, mentre competevano in privilegi, regole e teologie alcune delle più importanti Abbazie del medioevo; il grande monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno, l’Abbazia cistercense della Ferrara a Vairanum, il monastero benedettino  di Sant’Angelo in Formis ove la Basilica sorse sui resti di un Tempio, santuario federale dei popoli campani dedicato a Diana Tifatina la dea italica, latina e romana, signora delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti. Intorno a questi toponimi di città e monasteri si fece la storia, lungo le terre bagnate dal Volturno i privilegi di Carlo Magno, dei Pontefici Marino II e Celestino V, di Riccardo I di Capua, di Federico II di Svevia, fecero parlare il mondo di allora. Il fiume fu cantato da Stazio come torbido e minaccioso, celere da Lucano, sonoro da Silio Italico e copioso d’acque da Virgilio. Militarmente era il confine oltre il quale si aprivano le porte dell’Italia Meridionale, chi superava il suo corso o lo avrebbe controllato, avrebbe ottenuto un Regno ed il suo dominio. Così fu per i Sanniti, per i Romani, per i Longobardi, così fu per i Normanni e dopo di questi, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Borbone, in un susseguirsi di popoli e domini i quali nonostante il susseguirsi di grandi problematiche politiche interne, definirono il più antico e lungo Regno in Italia dal Medioevo all’Unità d’Italia. Ma il suo corso ha attirato la vita umana fin dalla notte dei tempi, i ritrovamenti di sepolture del VII secolo Avanti Cristo ad Amorosi e prima ancora ad Alife non lontano dal corso del Volturno parlano di insediamenti in luoghi dove le piene del fiume contribuivano a rendere fertili vaste aree pianeggianti. Per chi viveva intorno alle aree del fiume non era l’acqua in se importante ma le sue piene, i suoi fanghi, erano le terre le quali ricchissime di vegetazione attiravano cacciatori-raccoglitori prima e pastori ed agricoltori poi. Le sue acque torbide, scure, vorticose e spaventosamente veloci ed abbondanti d’inverno che divenivano chete, azzurre e cristalline d’estate, favorivano la presenza di una fauna ricca e variegata che di conseguenza attirava l’interesse degli umani. Lungo il suo corso la pastorizia nel tempo diede luogo a peculiarità territoriali uniche; la pecora lauticada, la bufala, il maiale nero, saranno quegli animali da allevamento poderale familiare, che caratterizzeranno le valli del Volturno per lunghi periodi. Di fatto animali a bassa produttività, sia in latte che in carne ma di altissima qualità, che ben si adattavano alle aree pianeggianti e spesso semipaludose del dopo inverno delle pianure alluvionali del Volturno. L’antico fiume ha poi permesso coltivazioni uniche nel suo genere; vegetali quali il lino, la canapa, il cotone hanno fatto la storia economica e commerciale del Regno di Napoli e delle Due Sicilie lungo tutto l’arco temporale del XVIII e del XIX secolo, quando la produzione ed il commercio della lavorazione di tali vegetali era monopolio assoluto del Regno nel bacino del Mediterraneo, surclassando Francia ed Inghilterra. La sua lunghezza, ( 175 Km) con la sua portata costante è sempre stata, parafrasando, la costante dei popoli che hanno vissuto e vivono lungo le aree del suo corso, montano o pianeggiante che sia. Identità culturale e linguistica dettata dal continuo interscambio, sociale ed economico che è sempre avvenuto lungo le vie di comunicazione che fiancheggiavano ed attraversavano il suo corso, in cammini di fede, di affari, di interessi, di decadenza e prosperità, di popolazioni e paesi che si riconoscono ancora oggi nel nell’idronimia di “Volturno” dalla sua sorgente alla sua foce.

Autore

Figlio della migrazione italiana degli anni 60 del XX° secolo, nato in Gran Bretagna e tuttora cittadino britannico a voler ricordare il mio essere nato migrante ed ancora oggi migrante (Interno). Sono laureato in Lettere (Università di Roma “La Sapienza) ad indirizzo Archeologico-Preistorico per la precisione in Etnografia Preistorica dell’Africa, un Master di primo livello in “Interculturale per il Welfare, le migrazioni e la salute” ed uno di secondo livello in “Relazioni internazionali e studi strategici”. Sono Docente a contratto di Demoetnoantropologia presso l’Università di Parma e consulente per il Ministero della Cultura in ambito Demoetnoantropologico. Mi occupo di relazioni con le comunità di diversa cultura del territorio di Parma e Reggio Emilia scrivo di analisi geopolitiche e curo una rubrica (Mondo invisibile) sul disagio sociale. Nel tempo libero da decenni mi occupo di ricerca antropologica, archeologica e storica del territorio della mia terra, della terra delle mie radici, Gioia Sannitica. Collaboro con diverse realtà divulgative e scientifiche on line (archeomedia.net- paesenews.it-Geopolitica.info-lantidiplomatico.it) creo eventi culturali, cercando sempre di dare risalto alla mia terra non intesa solo come Gioia Sannitica ma di quella Media Valle del Volturno, che fu il Regno Normanno di Rainulfo II Drengot.